Trattatello insipido e pallosetto sulle recensioni e sui giudizi
Della differenza tra oggettività e obiettività
Comincio da un piccolo dato tecnico che ci torna utile in seguito, la distinzione fra oggettività e obiettività. È oggettivo tutto ciò che è relativo all'oggetto e solo a quello; dunque l'oggettività è la componente fondamentale di ogni critica che si rispetti. Una recensione oggettiva non si occupa del taglio di capelli del cantante, della lunghezza del pisello del batterista, di quella volta in cui dal vivo la band ha spaccato, di quell'altra volta in cui il chitarrista ha negato l'autografo ad un bambino con un ginocchio sbucciato; bensì parla dell'oggetto, cioè del disco. L'obiettività, invece, è la mancanza di bias, cioè di faziosità: questa è invece un traguardo ideale a cui si può tendere ma non arrivare. Quanto più si è unbiased, quanto più si allontana la persona del critico dalla critica stessa, tanto più il prodotto sarà obiettivo, e quindi migliore. Dunque daremo l'oggettività per scontata e l'obiettività per irraggiungibile nella sua pienezza, ma desiderabile.
Della critica d'arte in generale
Ma perché desiderabile? Non sono forse i lettori uomini come il critico, e non dovrebbe quindi il critico avvicinarsi al loro punto di vista? La mia risposta è no: altrimenti finiremmo a giudicare in base all'emozione suscitata, che è per sua natura sublimemente soggettiva e quindi diversa da uomo a uomo. Insomma, andremmo a negare la natura stessa della critica, che è quella di offrire un punto di vista diverso rispetto a quello del semplice utente. Ma esiste questo punto di vista? Senz'altro: la competenza aumenta la comprensione di un'opera. Ed è rilevante questo punto di vista? Certamente: anzi, il critico è l'esatto complemento dell'artista, perché è quello che più di tutti dà valore e importanza all'opera d'arte. L'artista non ha bisogno di adulatori né di persone comuni che lo disprezzino senza saper spiegare il perché, ma ha bisogno (e non sto esagerando) di un critico che lo pungoli costantemente, che sia lì pronto ad elogiarlo per i motivi giusti e a criticarlo quando serve.
Come giudicare?
Presupposto dell'attività del critico è la qualità intrinseca di un'opera d'arte. E anche qui, un interrogativo: un'opera è bella perché è bella o è bella perché piace? Cioè: esiste una qualità dell'opera di per sé, a prescindere dalla qualità generalmente riconosciuta? Cominciamo col dire che ogni persona, di primo impatto, giudica in modo differente: tutto quello che vediamo, ascoltiamo e leggiamo, infatti, contribuisce alla formazione della coscienza critica individuale, che è, come l'individuo stesso, unica e irripetibile. Ogni persona si forma dei canoni estetici (prendete questa parola nel senso più ampio possibile) e in base a quelli giudica ciò che vede. Se io sono abituato a vedere donne alte, magre e con le tette piccole, di fronte ad una donna bassa, in carne e tettona il mio primo impatto sarà quasi repulsivo. Se invece sono abituato alle donne basse e formose mi sembreranno la cosa più eccitante che ci sia. Qual è, qui, il traguardo desiderabile? Che ogni critico accumuli una quantità tale di esperienze artistiche da minimizzare la "personalità", pur senza annullarla. È il motivo per cui se scrivo di metal dovrei conoscere bene l'elettronica, il jazz, il reggae e l'Oi!, o altre diecimila cose: in questo modo non sarò condannato dai miei stessi ascolti. Se infatti ho sentito solo thrash metal nella mia vita, un disco thrash mi sembrerà quasi sicuramente più valido di quanto in realtà non sia, e il mio giudizio sarà errato. Molto spesso io critico devo superare il primo impatto che mi fornisce l'opera e contestualizzarla. Ad esempio, io ho sempre ascoltato musica molto melodica, e di fronte ad un album di black metal tradizionale la mia prima reazione è di fastidio: non traggo piacere iniziale dall'ascolto. A quel punto, dovendo scrivere una recensione, vado ad appellarmi alle mie esperienze pregresse, che idealmente consistono in tutti i capisaldi del genere più un nutrito numero di dischi interessanti e meno noti, più una buona quantità di dischi di merda. In questo modo sono in grado, per comparazione, di stabilire approssimativamente il valore del disco da recensire in relazione al suo genere. Allo stesso tempo, se conosco generi molto diversi, sarò in grado di apprezzare eventuali influenze esterne che traspaiono (e che il 95% dei musicisti ha, basta che chiediate ad un membro di una band qual è l'ultimo disco che ha comprato, avrete sempre risposte sorprendenti). Inoltre conoscere la musica in forme diverse mi permette di dare un giudizio sull'abilità dei musicisti, anche se non suono nessuno strumento in prima persona.
Conclusione
Una critica che tenga conto di tutti questi fattori (oltre ai dati tecnici, sulla produzione, e ai testi, nella misura in cui pesano nel genere in questione) è sempre giusta, a prescindere dal voto. Il problema, infatti, non è il numero che è in fondo a tutte quelle paroline scritte vicine vicine, ma, ohibò, proprio le paroline. Possiamo discordare lievemente sul giudizio, ma se entrambi abbiamo argomentato con correttezza e completezza la ragione è incerta. Se invece io dico 85 e tu 48, uno di noi due sta sbagliando. Non è che vada crocifisso per l'errore, semplicemente trovare le fallacie nelle critiche altrui ci rende critici migliori, e quindi è un lavoro utile. Ad esempio, una persona che abbia ascoltato tutto il filone indie rock dal 1967 a oggi, folk americano, country e reggae, non regge il primo ascolto di ...And Justice for All. Non è abituata, ascolta qualcosa che sfugge completamente a ciò che ha inteso come bello. Deve fare uno sforzo incredibile per apprezzare comunque le virtù dei musicisti coinvolti e la qualità delle composizione, e molto spesso non lo farà. Allo stesso modo, una persona che abbia ascoltato la NWOBHM, il thrash americano e tedesco e la sua contaminazione con il -core ma che sia a digiuno di rock classico, di psichedelia e di determinati gruppi-chiave nella storia della musica americana, non potrà fisiologicamente apprezzare il disco di Lou Reed con i Metallica se non dopo uno sforzo enorme che non sarà disposto a fare. Se ho letto sempre e solo poeti del 1200 e 1300 penserò che Palazzeschi e Marinetti fossero due coglioni, e viceversa se ho letto solo le avanguardie a cavallo fra ottocento e novecento troverò noiosissimi e arcaici gli stilnovisti. Una dimostrazione del discorso di partenza (cioè che tra due giudizi discordanti uno dei due sia in errore) è che nel tempo (anni, decenni o secoli, a seconda dell'arte in questione) i giudizi tendono a convergere verso il risultato esatto: tant'è che Caravaggio è molto più apprezzato oggi che in qualsiasi altra epoca, e dire oggi che Caravaggio non fosse valido equivale ad una bestemmia bella e buona. E allo stesso modo ridiamo del critico tal dei tali che quando uscì il disco degli Iron Maiden lo bocciò impietosamente, mentre oggi c'è unanimità sul valore del disco in questione. Dunque aveva torto. Dunque esiste un valore oggettivo dell'opera d'arte. Dunque questo valore intrinseco va ricercato e analizzato in una recensione, con l'ovvio spazio che è lasciato alle oscillazioni, alle diverse scale di voto, al margine di soggettività e "parzialità" che è inevitabilmente umano.
Ora posto un po' di figa, che non mi si accusi di essere un intellettuale frigido:
No, scherzo. Sono un intellettuale frigido.